Come da avvocato archivio i documenti

La conoscenza è il fulcro della professione dell’avvocato. Acquisire, conservare e usare la conoscenza è il pane della professione. La conoscenza può assumere tante forme ma, nel nostro mestiere, ne prende una particolare.
Ho un metodo semplice per archiviare i documenti che migliora non solo la vita lavorativa ma anche quella personale.
Quando ogni cosa è al suo posto, il tempo per cercarla è zero.

Sono sempre stato restio a scrivere sulla professione. Non mi sento mai all’altezza. La vocina nella mia testa dice: “Sei avvocato da l’altro ieri e vuoi insegnare come si fa agli altri?”. Ma perché insegnare? No, parliamo di condividere. Vi racconto come gestisco un pezzetto del mio lavoro e se qualcuno ne trarrà beneficio tanto meglio.

Ora, è vero che quello che sto per scrivere è frutto di esperienza diretta nel mondo legale, quindi sembra utile solo agli avvocati. In realtà, caro lettore, potrebbe tornarti utile comunque.

Il problema di ricevere e archiviare documenti

Come avvocato ricevo e devo archiviare e conservare un gran numero di informazioni. Se un tempo il problema era la quantità di carta da dover conservare, oggi il problema è la quantità di file. Perché, con l’avvento del “telematico”, la quasi totalità del lavoro si fa in digitale. Quindi, ricevo una quantità infinita di email, con allegati un quantità infinita di file. Poi fai le ricerche, scarichi , dai vari siti istituzionali, le visure camerali e i certificati anagrafici. Poi magari la causa è durata anni, e sei al termine del secondo grado. Hai una sentenza vittoriosa e devi notificarla. E di nuovo fai un’altra visura in camera di commercio o estrai un altro certificato anagrafico. Giusto per controllare ed essere sicuro che stai notificando nel posto giusto. Oppure i clienti vogliono una consulenza su un contratto. Quindi scambi con loro, o con un collega, varie versione dello stesso testo, che via via si affina e prende forma. Di quanti file parliamo? Quanti documenti in formato digitale dobbiamo conservare e archiviare?

Ora ci sono due scenari. Uno è il caos. Quello dove si salva tutto in unico posto, (si spera) in una cartella dedicata ad una pratica, e ogni volta si perde del tempo a cercare quello che serve. L’altro è un metodo che non salva ma la semplifica. Un metodo fatto di due elementi: pazienza e disciplina.

Insomma bisogna seguire le regole. E noi avvocati siamo bravi a seguirle.

La resistenza al cambiamento

So bene che ognuno di noi ha un suo modo di salvare i documenti. L’idea di abbandonarlo per un altro sistema non solo terrorizza ma proprio non lo consideriamo. Il cambiamento significa incertezza e, nel nostro lavoro, incertezza significa errore. Errore significa terrore e distruzione perdita di reputazione, perdita di clienti, attivare la polizza, essere un* fallit* e cosi via. Perchè questi sono i pensieri di un avvocato medio. Sbagliare non è contemplato.

Bene, vi offro un’idea. La scrivo qui, di seguito. Se poi vi piace la seguite se invece non fa per voi amen.

Cambiare metodo di archiviazione dei documenti

Molti di noi, all’inizio della carriera, o sono nello studio in cui hanno svolto la pratica oppure sono nello studio di un qualche collega. Avviarsi alla carriera da soli è più che difficile. Quindi, magari nello Studio in cui ci troviamo esistono metodi di archiviazione che resistono da anni. Chi siamo noi per cambiarli?

Non si sa mai. Nelle prossime righe potreste leggere banalità, ma fidatevi, sono tanti gli avvocati che non hanno messo in campo soluzioni semplici come quelle che sto per suggerire.

Archivia numerando le pratiche

Il primo passo da fare è numerare le pratiche.

Si, sembra assurdo ma alcuni si affidano al semplice ordine alfabetico. Un buon sistema che non funziona. Per due ordini di motivi. Il primo è che potresti trovarti sul tuo sistema di archiviazione (può essere il tuo pc, un hard-disk esterno, un nas o addirittura un server condiviso)  la pratica di Tizio, vecchia chiusa e definita, a fianco alla pratica di Sempronio, il cui incarico è stato conferito l’altro ieri. L’ordine alfabetico non tiene in considerazione un elemento fondamentale del nostro lavoro. Il tempo. Numerare le pratiche in ordine crescente, con un semplice numero (e magari un suffisso ma ne parleremo un’altra volta), le mette letteralmente in “ordine”. Dalla più vecchia alla più recente. Così eviteremo di copiare dalle pratiche che sono troppo risalenti.

Ogni pratica avrà un numero dalla 1 alla N.

Quindi ogni pratica avrà una sua cartella dove confluirà tutto. I documenti. Le email. Le PEC. I preventivi. E così via. Quella cartella avrà questo nome:

26 – Tizio

Perché 26? Perché è il giorno del mio compleanno. La cartella “25 – Caio” non mi piaceva e la cartella “27 – Sempronio” è una pratica troppo onomatopeica: “venTiSeTTeSempronio”.

Archivia e data i file AAAA.MM.GG

Bene, abbiamo la nostra cartella dedicata ad una singola pratica: la 26 – Tizio.
Il vero metodo arriva ora.
Ogni file che entra nella cartella è nominato con un metodo preciso e che non può mai essere sgarrato.

Prima il numero della pratica. Poi la data al contrario. Poi la descrizione di cosa è il file.

Quindi il contratto, conclusosi il 5 marzo 2023, che Tizio ci ha mandato, e che dimostra che Caio deve adempiere a una certa obbligazione sarà:

26 – 2023.03.05 – Contratto Tizio e Caio

La data è al contrario. Non si usa il formato giorno.mese.anno, ma il formato opposto: anno.mese.giorno.

Perché, indipendemente dal sistema operativo che in uso (Microsoft, Apple, Ubuntu) quando metteremo in ordine alfabetico i file, in una cartella, saranno automaticamente anche in ordine cronologico.

Allo stesso modo se Tizio (mio cliente) mi ha inoltrato in allegato la email del 2 febbraio 2024 con cui Caio riconosce il proprio debito la salverò come:

26 – 2024.02.02 – email Caio@Tizio riconoscimento credito

Sfruttate i simboli e sperimentate in questo senso. @ è di immediata percezione, come una comunicazione via email o simile, da qualcuno @ qualcuno.

In questo modo i documenti saranno ordinati in ordine cronologico e vi sarà anche più semplice scovare (tra i tanti file) la versione più recente.
Ho accennato all’ipotesi in cui inizia una causa, si fa una visura camerale oppure si estrae un certificato anagrafico, per poter procedere alla notifica dell’atto di citazione (o del ricorso, o del decreto ingiuntivo, fate voi). Poi passano gli anni, i gradi di giudizio, e dovete fare un’altra notifica e quindi ripetete le notifiche.

Se il nome del file riporta la data e non solo, se la visualizzazione nella cartella vi farà vedere in alto la visura/certificato più recenti, sarà certamente più facile.

Potremmo avere una situazione del tipo:

26 – 2024.05.28 – Visura Caio

26 – 2023.04.05 – Visura Caio

Usate gli zeri per dare due caratteri anche ai giorni e i mesi a cifra singola. In questo modo “l’impaginazione” nella cartella sarà identica e non dovrete interpretare il dato.

Il risultato finale è che, mentre scrivere gli atti, avrete a disposizione una cartella in ordine cronologico, e potrete attingervi immediatamente. Dall’altro lato, ogni file avrà la sua posizione, non solo entro una pratica, anche nel tempo.

La legge è un modo per ottenere e garantire ordine, e la giustizia ne è il ripristino.

Capisco che il metodo che vi propongo richieda tempo. Nell’immediatezza vi sembrerà frustrante dover rinominare ciascun file. Ma se ci pensate quanto le pratiche non erano telematiche era doveroso (se non necessario) mettere in ordine il “fascicolo”. Oggi ci sembra una perdita di tempo rinominare documenti informatici quando in realtà , tenere in ordine le conoscenze che il cliente ci ha fornito al fine della miglior difesa, è parte del lavoro.

Portate pazienza e dopo la resistenza iniziale diverrà un metodo automatico, quasi necessario, al punto che inizierete ad usarlo anche nella vita privata, per rinominare il pagamento delle bollette o della rata del mutuo di casa.

Leggiamo

Sono in una fase di cambiamento. Mi assesto in nuovi equilibri e in nuove dinamiche. È un sfida, ma anche un’occasione. Metto a fuoco tante cose. Dalle più banali alle più importanti (credo). In questo scenario di cambiamento, riscopro vecchi interessi e vecchie passioni.

Mi sono impallato con la lettura. Leggo da sempre ogni cosa. Ho una regola. Di giorno leggo saggistica, la sera, a letto al calduccio, leggo narrativa. C’è un confine dato dalle coperte credo. Ma comunque leggo molto. O almeno credevo. Di recente ho scoperto che leggo male, almeno la saggistica. In realtà so come leggere, l’ho imparato, ma non ho mai pensato di fare altrettanto nella vita da adulto. Mi spiego. A scuola hai i libri, ciascuno dedicato a una materia. E quanto li leggi, non li leggi e basta, li studi. È questo il modo per imparare. Sottolinei, annoti, fai schemi e così via. Ma perché non facciamo altrettanto con i libri che leggiamo nel corso della vita? Sono incappato in Ryan Holiday. Uno scrittore, stoico, che viene citato in innumerevoli video su YouTube sull’argomento lettura. Lui legge un sacco, la sua libreria fa invidia, ma al tempo stesso consuma i libri. Un pensiero strano ora che ci penso. Consumare i libri. Nell’epoca del consumismo, sembra strano farlo con qualcosa di sacro come “i libri”. Ebbene lui non li legge, li strizza come spugne e ne trae il succo. Come? Banalmente, sottolinea. La mia mamma mi ha trasmesso un senso di venerazione per le pagine scritte. Un senso di rispetto e di cura. I libri non vanno rovinati, se vuoi sottolinei a matita, la copertina comunque deve essere integra e così via. Il libro doveva essere letto, si, ma anche passabile di essere un oggetto di arredamento. Godibile in bella vista in salotto. E io le ho creduto. Mi son fidato del genitore. Si sbagliava e io ho imparato una lezione sbagliata. Se torno ai miei anni di studio (sono stato uno studente pessimo) mi accorgo che ho imparato distruggendo i libri. Avevo una serie di evidenziatori. Ovviamente di colori diversi. Il giallo per le cose importanti. L’arancione per i principi giuridici (uguaglianza, trasparenza, buona fede e così via). Il blu era per le sentenze. Il verde…. non ricordo per cosa fosse il verde, ma aveva senso. Poi non ho fatto altrettanto per il resto degli studi della mia vita. Quelli che non sono “comandati”, come i sacramenti, ma che sono frutto di mie scelte. I libri che mi erano imposti di studiare li distruggevo di appunti, evidenziature, note e schemi. I libri che IO ho scelto per la MIA crescita personale invece: intonsi. Cosa mi resta di quei libri? Cosa mi resta delle pagine che ho scelto di leggere? Vaghi ricordi, sensazioni. Quindi questa sera ho seguito i consigli trovati online, quelli che non portano nessun danno ma che potrebbero portare un gran guadagno. Ho letto 25 pagine di un libro che ho li, sullo scaffale, e che sono mesi che non finisco. E mentre leggevo ho sottolineato a penna. C’è voluto coraggio. Il bambino che è in me ha disubbidito alla mamma.

Poi, quando un passaggio mi ha fatto ridere e ho scritto “hahahah” sul lato della pagina, mi son sentito libero, perché quelle pagine erano improvvisamente mie. Libero di dire la mia tra quelle righe.

Non più passivo spettatore di una storia che presto dimenticherò, ma attivo partecipe della conversazione con l’autore. Il risultato finale è che invece di lasciare il libro sullo scaffale ho letto 25 pagine. Ed è già un successo. Ho anche imparato che a volte confondiamo diktat con vere regole, e che in realtà sono solo modi di vedere il mondo. Ho imparato che può esserci un mio modo, magari ispirato da e ad altri, ma comunque mio. In qualche modo sembra che io abbia imparato a leggere. Di nuovo.

Il mio consiglio? Scegliete un libro che avreste sempre voluto leggere. Compratelo (in cartaceo non in digitale) mettetevi a leggerlo con una penna in mano. Sottolineate ogni riga che risuona con e in voi. Prendete appunti, rovinate il libro. Se si rovina troppo, lo potete ricomprare. Consumate le parole scritte come fossero benzina per il vostro futuro. Prendete appunti. Non perché dovete, ma perché vi va di farlo. Non c’è una regola, non c’è un modo, non c’è giusto o sbagliato. Ma fidatevi, con un libro davanti e una penna in mano, vi verrà naturale. Non credevo sarebbe stato così liberatorio e illuminante. Fate un tentativo. Nella peggiore delle ipotesi, avrete letto tra le righe.

UN NUOVO INIZIO: ONESTÀ

Ho sempre detto che amo scrivere. Non ho scelto un lavoro lontano dalla scrittura infatti, sono un avvocato. Il neo dell’essere un avvocato è l’assorbimento che la professione esercita sulla tua vita. Ogni momento, o quasi, è assorbito dalla professione e dai suoi doveri carichi di responsabilità. Dal 2019 ad oggi ho dedicato talmente tanto al mio lavoro da aver eliminato tante piccole grandi gioie dalla mia vita. Fare foto e video, suonare l’ukulele e perfino la scrittura. Ho chiuso i mille blog che avevo e soprattutto il più strutturato che oggi, qui, un po’ rinasce. No non come la fenice, ma come uno zombie. Perché quando elimini la qualità della vita per concentrarti su un’unica cosa che ti da molto ma a un prezzo altissimo, è così che diventi: uno zombie. Uno zombie che funziona, che opera e produce ma non vive. Quindi provo a tornare a scrivere, con uno fine anche terapeutico non lo nego. Proverò ad alimentare l’Andrea adolescente, che scriveva di getto, pubblicava e si preoccupava dopo dell’editing. Proverò anche a farmi coraggio e a scrivere e condividere contenuti che per qualche tempo ho temuto di fare miei. Vedete ho una visione cavalleresca del mio lavoro. Il fare parte di un Ordine mi riempie di orgoglio e al tempo stesso mi fa vivere una pressione importante. Nella mia testa mi freno e mi censuro molto spesso perché “un avvocato no dovrebbe dire questo”. Questa volta vogli ricordarmi quello che difendo. La nostra Costituzione recita “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.” (Art. 21 Cost.). Farò appello a questo valore e farò del mio meglio per conciliare le mie opinioni, gusti e pensieri con i miei doveri nati e che vivo per via della professione che ho scelto e amo. Detto questo, leggete tra le righe.